Medico Protetto

Insulti, minacce, botte: un medico ospedaliero su due subisce aggressioni.

di MARGHERITA DE BAC

Sono passati 10 anni da quando Paola Labriola, psichiatra di un centro di salute mentale di Bari, venne uccisa con 57 coltellate da un malato che fece irruzione nella sua stanza mentre visitava. Il direttore della Asl del centro è stato da poco condannato con l’accusa di non aver garantito la sicurezza della struttura. Non è cambiato nulla, dal 2013.

Aggressioni fisiche e verbali, con esiti a volte mortali, ad operatori sanitari sono diventati routine. L’11 gennaio a Udine una specializzanda in servizio presso la guardia medica dell’ospedale Gervasutta (oggi si chiama continuità assistenziale) ha postato la foto del suo collo cerchiato di rosso.

I segni delle mani di un paziente che ha cercato di strozzarla. Il 14 dicembre a San Donato Milanese un suo collega è stato colpito con un’accetta nel parcheggio dell’ospedale ed è morto per le conseguenze dei tagli. Il 9 gennaio al Sant’Andrea di Roma un uomo ha dato in escandescenza dopo aver saputo della morte di un parente. Pugni, botte, macchinari danneggiati. Potremmo andare avanti con i racconti all’infinito, ogni settimana la cronaca si arricchisce di nuovi episodi.

I dati sul fenomeno delle aggressioni sono scarni e incompleti, ma non è un male italiano. Matteo Bonifazi, 33 anni, infermiere al pronto soccorso dell’ospedale dei Castelli di Ariccia, prossimo alla laurea magistrale, lui stesso vittima più volte di insulti, schiaffi e spintoni, nella sua ricerca per l’esame di tirocinio ha raccolto i numeri europei. Dopo il Covid la situazione non è peggiorata, come ci si sarebbe aspettati: «Non c’è un aumento significativo - dice - Molti di noi non denunciano perché sanno che è inutile. Due giorni fa i parenti di una signora sono entrati a forza in sala rossa e ci hanno minacciati di morte, non muovetevi, andiamo a prendere il fucile...». La paura è il sentimento prevalente in questi operatori, legati alla professione con un rapporto di odio-amore.

L’Inail nel 2020 stimava in 2500 gli infortuni denunciati ogni anno in seguito a violenze. Panorama molto incompleto in cui non rientrato i dipendenti delle strutture convenzionate e private. Secondo Anaao-Assomed, il sindacato dei dirigenti ospedalieri, il 55% dei medici nel corso della carriera hanno subito almeno una violenza. Il 48% degli aggrediti verbalmente ritiene si tratti di «fatti abituali», il 12% «inevitabili». Simeu, la società italiana di medicina di urgenza ed emergenza, rappresenta gli operatori del pronto soccorso, detentori del record di maltrattamenti. Viene definita inutile e infruttuosa la legge a tutela del personale sanitario del 2020 che prevede per i «picchiatori» aggravanti rispetto a forme di aggressione più comune, sanzioni in denaro mai applicate, intervento delle aziende sanitarie come soggetti denuncianti (non succede quasi mai).

Molti casi restano nella memoria di chi li subisce, come fossero una voce dello stipendio (basso). Se la specializzanda di Udine, Adelaide Andriani, si è detta determinata a cambiare specializzazione per sottrarsi ad eventuali bis, resta aggrappata al suo lavoro Manuela Palumbo, 58 anni, in forze al pronto soccorso di Imperia, socia di Simeu. «Durante un turno serale ho ricevuto un pugno nell’occhio da un malato poco presente a se stesso.

Cercavo di tenerlo disteso sulla barella e io lo rimettevo giù. Poi la botta. Mi ha inseguita, spinta a terra, picchiata in testa e presa a calci. Da quella volta hanno ripristinato la guardiania notturna e il giorno possiamo contare sulla presenza di un agente della Polizia. Se ho mai pensato di gettare la spugna e cambiare vita? No, io sono innamorata di quello che faccio. Se così non fosse, saremmo dei pazzi a scegliere di restare qui». Le donne sono le più esposte ai maltrattamenti, considerate più vulnerabili.

Racconta Bonifazi: «Dal triage (dove vengono assegnati i colori in base alla gravità, ndr) giungono spesso le urla di chi protesta animatamente per la coda, per la mancanza di informazioni, per presunte ingiustizie. Volano brutte parole, insulti pesanti. Una ventina di giorni fa una signora in attesa di ricovero ha afferrato la mano di una mia collega e le ha storto un dito procurandole una sublussazione. La mortificazione è profonda non per i danni fisici riportati ma per la pessima considerazione di cui godiamo. Come fossimo noi i responsabili di ciò che non funziona».

È nata di recente per proteggere i colleghi oggetto di denuncia l’associazione Medico Protetto, il primo sistema di protezione integrato che spazia dalla scelta delle compagnie assicurative alla tutela legale, fondato da Edoardo Pantano, giovane imprenditore romano. La categoria è bersaglio ogni anno di 35mila cause, sono oltre 300mila quelle pendenti presso i tribunali italiani, con un 580% di incremento di cause penali rispetto a 10 anni fa. Il 90% si concludono con una sentenza pienamente favorevole. Significa che appena una denuncia su 10 meritava di essere valutata. Per chi ne esce restano stress e i costi sostenuti per dimostrare la propria innocenza. Un pesante prezzo da pagare.